Oggi voglio parlarvi di etica, di limite e di responsabilità nelle pratiche energetiche e spirituali
di Gisella Cannarsa
[Diritti riservati]
Non è la prima volta che vengo chiamata d’urgenza per qualcuno entrato in uno stato di profonda alterazione psichica.
Situazioni in cui la persona appare confusa, disancorata dalla realtà, attraversata da convinzioni assolute: vissuti di onnipotenza o di totale annichilimento, messaggi “ricevuti”, missioni improvvise, che non ammettono dialogo né verifica.
Situazioni in cui la persona appare confusa, disancorata dalla realtà, attraversata da convinzioni assolute: vissuti di onnipotenza o di totale annichilimento, messaggi “ricevuti”, missioni improvvise, che non ammettono dialogo né verifica.
E’ successo anche ieri, proprio a ridosso del Natale.
Ogni volta, inevitabilmente, mi domando quante situazioni simili — magari meno eclatanti, meno visibili, meno dichiarate — vengano vissute quotidianamente senza che nessuno ne abbia notizia. E soprattutto mi interrogo sulla loro evidente radice comune.
Seguitemi in questo discorso.
In questi “ultimi” dieci ’anni, si è diffusa una grandissima confusione crescente, intorno alle pratiche energetiche e spirituali.
Una confusione che non riguarda solo le tecniche utilizzate, ma il ruolo, la responsabilità e la posizione interiore di chi le propone.
Una confusione che non riguarda solo le tecniche utilizzate, ma il ruolo, la responsabilità e la posizione interiore di chi le propone.
Sempre più spesso si assiste a una sovrapposizione pericolosa tra spiritualità, guarigione, potere personale e bisogno di riconoscimento. E in questo terreno ambiguo, parole come cura, attivazione, risveglio, canalizzazione, registri, dono vengono utilizzate con leggerezza, senza una reale riflessione sulle conseguenze che possono avere sulla psiche, sull’autonomia e sulla stabilità di chi riceve.
È necessario dirlo con chiarezza:
non tutto ciò che è sottile è terapeutico, e non tutto ciò che è spirituale è sano.
non tutto ciò che è sottile è terapeutico, e non tutto ciò che è spirituale è sano.
Esiste una differenza sostanziale tra accompagnare una persona e attribuirsi un potere su di lei.
È importante chiarire anche un altro punto, spesso dato per scontato: il fatto che una tecnica sia molto diffusa, presentata come “certificata”, o strutturata in modo internazionale (e/o praticata in molti Paesi), non è di per sé garanzia di sicurezza, né di adeguatezza per tutte le persone.
La popolarità di una pratica, la sua espansione globale o il numero di operatori formati non coincidono automaticamente con la qualità del contenimento umano, etico e psicologico richiesto quando si lavora con stati interiori profondi.
Tra offrire uno spazio di ascolto e contenimento, e l’insinuarsi nella sua struttura psichica, emotiva o spirituale con affermazioni che suggeriscono accessi privilegiati alla verità, al destino o all’anima dell’altro.
Non tanto per il simbolismo che le ispira, quanto per l’uso che se ne fa e per il contesto in cui vengono insegnate e applicate.
Non tanto per il simbolismo che le ispira, quanto per l’uso che se ne fa e per il contesto in cui vengono insegnate e applicate.
È importante chiarire anche un altro punto, spesso dato per scontato: il fatto che una tecnica sia molto diffusa, presentata come “certificata”, o strutturata in modo internazionale (e/o praticata in molti Paesi), non è di per sé garanzia di sicurezza, né di adeguatezza per tutte le persone.
La popolarità di una pratica, la sua espansione globale o il numero di operatori formati non coincidono automaticamente con la qualità del contenimento umano, etico e psicologico richiesto quando si lavora con stati interiori profondi.
In particolare, alcune pratiche oggi molto diffuse — come la presunta lettura dei Registri Akashici, certe forme di channeling, di “attivazione”, di stimolazione su punti sulla testa — pongono questioni etiche importanti.
Alcuni metodi oggi molto noti, vengono spesso difesi proprio in virtù della loro fama internazionale. Ma la storia, anche recente, ci insegna che la diffusione non equivale alla protezione, né per chi riceve né per chi pratica.
Quando una tecnica viene insegnata in tempi molto brevi, con un forte accento sull’uso della procedura e pochissimo spazio dedicato alla valutazione della persona, ai suoi confini psichici, alla sua storia, alla sua stabilità emotiva, il rischio non è teorico: è reale.
E aumenta ulteriormente quando chi la applica non è formato a riconoscere segnali di dissociazione, di scompenso o di perdita di radicamento, né è in grado — o autorizzato — a fermarsi e a indirizzare verso figure competenti.
È proprio in questo scarto tra la complessità dell’esperienza umana e la semplificazione della formazione che si apre uno dei nodi più delicati: quando un operatore afferma, implicitamente o esplicitamente, di avere accesso alle informazioni profonde dell’altro, alle sue vite passate, alla sua missione o ai suoi blocchi inconsci, assume un ruolo di potere che richiede una preparazione, una responsabilità e una capacità di contenimento che raramente vengono affrontate o insegnate.
Questo vale in particolare all’interno di strutture formative basate su corsi brevi, focalizzati quasi esclusivamente sulla tecnica, talvolta addirittura online, con lezioni preregistrate, prive di un reale lavoro sul ruolo, sui limiti e sulle implicazioni psicologiche della relazione d’aiuto.
Il rischio non è teorico. È concreto.
Suggerire a una persona fragile che ciò che vive ha un’origine karmica, spirituale (divina) o “energetica” può rafforzare confusione, dissociazione, senso di predestinazione o perdita di responsabilità personale.
In questi casi, la spiritualità non eleva: disancora.
Ci sono alcuni segnali ricorrenti che indicano quando una pratica smette di essere di sostegno e diventa invasiva:
- sposta il centro di autorità dall’individuo a chi “legge”, “vede”, “sa”;
- alimenta dipendenza invece che autonomia;
- promette guarigioni, sblocchi o risvegli senza considerare il contesto, la storia e la fragilità della persona;
- confonde stati alterati di coscienza con stati evolutivi;
- ignora o sottovaluta i confini tra lavoro energetico, accompagnamento emotivo e disagio psicologico.
Un altro elemento che merita attenzione, e che raramente viene messo in discussione, è la struttura economica di molti percorsi formativi in ambito energetico.
La diffusione internazionale di una tecnica, la sua fama o il numero di praticanti coinvolti non sono, di per sé, garanzia di sicurezza, né di qualità etica.
La diffusione internazionale di una tecnica, la sua fama o il numero di praticanti coinvolti non sono, di per sé, garanzia di sicurezza, né di qualità etica.
Negli anni ho visto moltiplicarsi percorsi costruiti “a imbuto”: un primo livello accessibile, apparentemente semplice e innocuo, seguito da una progressiva escalation di specializzazioni, attestati, “attivazioni” e gradi successivi, ciascuno più costoso del precedente.
In questo modello, il valore percepito tende a coincidere con il prezzo, e si insinua l’idea — spesso implicita — che più si paga, più si accede a qualcosa di elevato, potente, trasformativo.
Il problema non è il costo in sé, né la legittima retribuzione di un insegnamento.
Il problema nasce quando il denaro diventa un moltiplicatore di potere simbolico, e quando il desiderio di crescita personale viene intrecciato a dinamiche di appartenenza, esclusività o promessa di “livelli superiori” dell’essere. In questi casi, il rischio non è solo economico, ma psichico: si favorisce la dipendenza, la delega dell’autorità interiore e la perdita di senso critico.
Nessuna tecnica, per quanto diffusa o ben confezionata, può sostituire il radicamento, la stabilità psichica e la capacità di restare nel corpo. Quando una pratica richiede di “salire” continuamente, di sbloccare, attivare, aprire, senza un parallelo lavoro di integrazione e contenimento, allora è legittimo domandarsi non quanto costi, ma cosa stia realmente producendo.
Una pratica autenticamente orientata alla crescita non rende l’altro dipendente da chi la conduce.
Non crea sudditanza, non genera fascinazione, non costruisce ruoli salvifici.
Al contrario, restituisce alla persona la propria capacità di sentire, scegliere, discernere.
Al contrario, restituisce alla persona la propria capacità di sentire, scegliere, discernere.
Esiste un principio fondamentale che andrebbe sempre ricordato:
aiutare non significa portare la guarigione in vece della persona.
aiutare non significa portare la guarigione in vece della persona.
Significa offrire uno spazio, strumenti, presenza e chiarezza, lasciando che la persona resti protagonista del proprio percorso.
Quando questo principio viene tradito, anche in buona fede, si entra in una zona pericolosa: quella dell’onnipotenza travestita da spiritualità. Una forma sottile di inflazione dell’Io che può avere conseguenze serie, sia per chi la esercita sia per chi la subisce.
Per questo ritengo indispensabile ribadire una posizione chiara:
ogni lavoro energetico, simbolico o spirituale dovrebbe rafforzare il radicamento, non dissolverlo; aumentare la lucidità, non confonderla; sostenere l’autonomia, non sostituirsi ad essa.
ogni lavoro energetico, simbolico o spirituale dovrebbe rafforzare il radicamento, non dissolverlo; aumentare la lucidità, non confonderla; sostenere l’autonomia, non sostituirsi ad essa.
Il limite non è un ostacolo alla spiritualità.
È ciò che la rende umana, integrabile e realmente trasformativa.
È ciò che la rende umana, integrabile e realmente trasformativa.
Senza etica, il lavoro sottile diventa invasione.
Senza responsabilità, diventa abuso.
Senza discernimento, diventa pericoloso.
Senza responsabilità, diventa abuso.
Senza discernimento, diventa pericoloso.
Questa mia presa di posizione nasce da anni di esperienza, osservazione e confronto diretto con persone che hanno beneficiato di percorsi seri, ma anche con chi è rimasto ferito da pratiche non contenute, da promesse implicite o da ruoli mal definiti.
Non si tratta di demonizzare metodi o tradizioni.
Si tratta di riportare al centro il senso del limite, della responsabilità e della dignità della persona.
Si tratta di riportare al centro il senso del limite, della responsabilità e della dignità della persona.
La spiritualità autentica non ha bisogno di proclamarsi potente.
Si riconosce dalla sua capacità di rispettare, contenere e restituire libertà.
Si riconosce dalla sua capacità di rispettare, contenere e restituire libertà.