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Dalla colpa alla consapevolezza - COMUNICAZIONE CRISTALLINA

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di Gisella Cannarsa
[Diritti riservati]

Qualche giorno fa, durante una visita odontoiatrica, mi sono sentita dire: “Devi fare il mea culpa”.
Non era un’accusa esplicita, certo, né un rimprovero pronunciato con durezza.
Era una frase detta forse con l’intenzione di responsabilizzare, di richiamare all’attenzione.
Eppure, in quelle parole ho sentito qualcosa che andava oltre la situazione specifica, qualcosa di profondamente radicato nel nostro modo di intendere la cura, l’errore e il cambiamento.


Ho risposto così: “No. Non c’entra la colpa. La colpa non mi porta da nessuna parte. Io vivo il qui e ora, e adesso scelgo come risolvere”.
Non era una risposta difensiva, né un rifiuto della realtà. Era piuttosto un tentativo di spostare il piano del discorso.

Perché la colpa, quando entra in gioco, cambia immediatamente la direzione dello sguardo: ci riporta indietro, ci inchioda a ciò che avremmo dovuto fare, sapere, prevedere. È una parola che guarda al passato e che chiede, più o meno implicitamente, un prezzo da pagare.

La consapevolezza, invece, non chiede espiazione. Non nega ciò che è accaduto, ma non lo usa come clava. Si colloca nel presente e, costruttivamente, apre una domanda diversa: ora che so, ora che vedo, ora che comprendo meglio, cosa scelgo di fare?
È una domanda che non umilia, non paralizza, non consuma energia in rimuginazioni sterili. Al contrario, restituisce potere d’azione.

Nella nostra cultura c’è una confusione profonda tra colpa e responsabilità, come se per assumerci la seconda fosse necessario passare attraverso la prima. Come se prendersi cura di qualcosa implicasse inevitabilmente punirsi.
La colpa è retroattiva, guarda a ciò che non può più essere cambiato; la responsabilità è attuale, riguarda ciò che è ancora possibile.
La colpa appesantisce, la responsabilità orienta.
La colpa consuma, la responsabilità costruisce.

Questo vale nella salute, ma anche nel lavoro, nelle relazioni, nei percorsi personali. Spesso il problema non è ciò che accade, ma la narrazione che ne viene fatta. Una narrazione fondata sulla colpa riduce la persona, la spinge a nascondersi, a giustificarsi, a cercare un’autorità che assolve o condanna.
Una narrazione fondata sulla consapevolezza, invece, restituisce dignità, invita alla lucidità e rende possibile un cambiamento reale, perché non passa dall’umiliazione.

C’è ancora, molto radicata, l’idea che per guarire – in qualunque senso – sia necessario pagare. Pagare con il dolore, con la vergogna, con il rimorso. Ma l’umiliazione non è terapeutica. Non cura, non trasforma, non libera. È solo una forma di violenza sottile, spesso normalizzata, che si traveste da responsabilizzazione. La cura autentica, invece, passa dalla comprensione, dalla chiarezza, dall’assunzione di responsabilità nel presente. Non dalla punizione.

Dire “io vivo il qui e ora” non significa cancellare il passato né fare finta che non abbia conseguenze. Significa non restarne prigionieri. Il passato informa, il presente decide. E ogni percorso di cambiamento autentico inizia esattamente in questo punto: quando smettiamo di chiederci ossessivamente cosa abbiamo sbagliato e iniziamo a chiederci cosa possiamo fare adesso, con quello che sappiamo oggi.
Esiste una forma di responsabilità che non schiaccia, che non pretende perfezione, che non chiede di sapere tutto in anticipo. È una responsabilità fatta di presenza, di onestà, di attenzione. Ed è l’unica che non distrugge l’autostima mentre cerca di costruire il cambiamento.

Forse è questo il passaggio più importante da chiarire, oggi più che mai: non siamo qui per espiare, ma per comprendere. Non per essere giudicati, ma per diventare consapevoli. Non per essere umiliati, ma per agire. La consapevolezza non assolve e non condanna. Semplicemente, apre una strada.

N.B.: Scrivendo questo articolo, mi è tornato in mente uno più datato, in cui affronto il tema della salute orale e della parodontite da un punto di vista clinico e scientifico. L’ho ripubblicato su aromaterapiaintegrata,it.
I due testi, in qualche modo, dialogano tra loro: la parodontite è uno di quei vissuti spesso accompagnati da vergogna e sofferenza. Credo profondamente che nessun approccio – né clinico né umano – possa essere realmente efficace se fondato sulla colpa anziché sulla consapevolezza.
Scoprire di avere bisogno di un percorso di cura è spesso destabilizzante: emergono rabbia, paura del dolore, timori legati al futuro. In questi momenti, l’aiuto più costruttivo e più onesto non passa dal puntare il dito, ma dal portare attenzione a ciò che è possibile fare, a come farlo e al perché farlo, nel presente.
La responsabilità che sostiene la cura non umilia: orienta. E rende possibile vivere con coraggio ed entusiasmo ogni tappa del cambiamento.

Comunicazione Cristallina
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